An Hour Before It's Dark

Notizie sui Marillion e sui progetti collaterali della Band.
Ashes
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Re: An Hour Before It's Dark

linconseieco ha scritto: 02/03/2022, 16:16 Bellissimo Album! è sono al primo ascolto! con gli odiosi mp3... direi Quasi perfetto! ..mi ricorda molto..Happiness is the road volume 1...ci sento molti suoni...simili... un grande Rothery..in tutto..tra armonie e assoli mai banali! grande H ...! Care, Sierra Leone e The Crow su tutte! Complimenti ai boys! :D :D ;)
Concordo, ci sono molti suoni che richiamano "Essence", soprattutto in "Sierra Leone". Però per me è di un altro livello, è un bel brano coeso e fluido mentre in Happiness e Sounds a volte avevi un effetto "rattoppato" dove le varie sezioni in alcuni casi sembravano un po' unite fra loro senza troppa coesione. Anche "New Kings" soffriva leggermente di questo problema.

"An Hour Before It's Dark" per me è il disco dove si è raggiunta la massima espressione di questo nuovo metodo di scrittura inaugurato proprio con "Happiness Is The Road"
davethespace
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Re: An Hour Before It's Dark

linconseieco ha scritto: 02/03/2022, 16:16 Bellissimo Album! è sono al primo ascolto! con gli odiosi mp3... direi Quasi perfetto! ..mi ricorda molto..Happiness is the road volume 1...ci sento molti suoni...simili... un grande Rothery..in tutto..tra armonie e assoli mai banali! grande H ...! Care, Sierra Leone e The Crow su tutte! Complimenti ai boys! :D :D ;)
Come fai ad averlo sentito? Esce oggi alle ore 11 UK Time... :roll:
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Re: An Hour Before It's Dark

Dato che mancano 45 minuti all'uscita UFFICIALE degli MP3 per chi ha preordinato, condivido qui ciò che ho scritto per gli abbonati di TWI ieri...

HAI UN’ORA PRIMA CHE SIA BUIO
Guida Galattica per autostoppisti marillici

È inutile negarcelo: ci sono mancati tantissimo.
Ed è ancora più inutile che IO neghi a me stesso l’importanza che questi cinque signori (sei, contando F… “coluichenondeveesserenominato” altrimenti parte la solita noiosissima, inutile diatriba) hanno avuto e hanno nella mia vita. Ci sono sempre stati e magicamente appaiono soprattutto nei momenti per me più difficili, come quello attuale che mi sta rendendo difficilissimo stare davanti al PC e scrivere anche queste poche righe. Ed è anche inutile negare che siano tra le band più sfigate della Galassia: spesso nelle occasioni importanti accade loro qualcosa di incalcolabile, come in questo ultimo caso, ritardo di pubblicazione del disco per scarsità di materia prima e quando il disco sta per uscire, BAM!, invasione russa in Ucraina. Passiamo oltre.
Parto subito con una dichiarazione netta: sappiate che per me AN HOUR BEFORE IT’S DARK è semplicemente il loro album più commovente. E anche, perché no, il più maturo.
Questa vuole essere più una “guida” all’ascolto (per chi vuole seguirla) che una vera e propria recensione, che lascio fare più in basso a gente più qualificata e capace di me.
Il mio primo – e forse unico – consiglio è, innanzitutto, di provare a fingere – si è difficile, lo so – di non avere MAI ascoltato BE HARD ON YOURSELF. Non cito MURDER MACHINES in quanto SINGOLO vero e proprio e quindi il suo ascolto è ‘fisiologico’ nella logica dell’uscita di un nuovo album.
Provate a giudicare il disco nella sua INTEREZZA, come un’entità unica.
Chi è riuscito a resistere in questi mesi all’ascolto di almeno Be Hard ha vinto al lotto, ha fatto il botto e da questo album si prenderà un bel cazzotto! Che poeta, ragazzi…
Provate a fare un viaggio nel tempo, a tanti anni fa, quando l’unica anteprima era, appunto, il piccolo singolo, che ci faceva sognare, immaginare, illudere e anche un po’ incazzare. Prendetevi un’ora del vostro tempo, scegliete il luogo, l’impianto, la cuffia migliore che avete e sedetevi. Questo è un album che merita la migliore esposizione sonora possibile, zeppo com’è di strati, livelli e texture musicali.
Chiudete gli occhi e ascoltate l’inizio sontuoso di quest’opera come se non l’aveste MAI ascoltato prima. Godetevi l’abilità e la mente sapiente di Mark Kelly che adagia le sue mani su quelle tastiere e che lungo tutto l’album risplenderà come un diamante purissimo, come e più che in FEAR. Sua è l’intro e sua è l’idea del “coro gregoriano” campionato, come confessatomi da Mike Hunter quando gli chiesi se fossero i Choir Noir (andate qui per scoprirne di più - https://www.choirnoir.com/ ) della cui presenza fui avvertito da H mesi prima.
So che in molti hanno sentito echi di FEAR su Be Hard, ma io personalmente non ho sofferto questo parallelismo e ho solo avvertito una band con una grande energia e una volontà ferrea di uscire, grazie alla musica, dal buio che ci avvolge ormai da due anni.
BE HARD ON YOURSELF e MURDER MACHINE sono gli unici brani su cui mi soffermerò un po’ di più in quanto immagino che (quasi) tutti voi le abbiate ascoltate, le conoscete e quindi avrete già maturato una vostra opinione che non potrò condizionare in alcun modo.
Dopo l’intro evangelico, che mi fa immaginare di essere da solo dentro un’immensa cattedrale, la partenza decisa su quei tasti di pianoforte, oserei dire quasi alla Roy Bittan della E-Street Band springsteeniana, accoppiata alla più frizzante sezione ritmica marillica degli ultimi anni (grazie al ritorno tra noi di Ian perché Pete è da sempre superlativo) mi fa sobbalzare dalla poltrona. La voce di H è più calda che mai e vi anticipo che la sua performance su tutto l’album tocca vette di assoluta meraviglia ed è il top della sua carriera. L’apertura verso il “ritornello” è solare, il testo è ficcante, preciso, quasi chirurgico nella sua efficacia e nell’urgenza del messaggio: NON ABBIAMO PIÙ TEMPO. Questo pianeta va salvato ora.
La musica non smorza il ritmo e continuo a non sentire nulla di FEAR, ma nemmeno di altre cose. Entra anche God in questa progressione che conclude questa prima sezione con un solo di chitarra apparentemente semplice ma adeguatissimo alla composizione. Un delicato intermezzo di piano mi riporta solo per un attimo all’ultimo disco ma poi la voce di H, ora più minacciosa e sottolineata dal drumming sapiente e incantevolmente al servizio della musica, ci dice che “La scimmia vuole un nuovo gioco”. La scimmia, è chiaro, siamo noi. Così come siamo sempre NOI le “impazienti sacche di sangue” che il mondo ha visto, ragazze e ragazzi.
Il ritmo è sempre più incalzante e la progressione – una delle cose che questa band ha sempre fatto mirabilmente – è IRRESISTIBILE., soprattutto quando IL cantante e IL chitarrista uniscono le forze e si scontrano come il ghiaccio e il fuoco. Intanto Mark picchia sui tasti del piano, mentre basso e batteria vanno in controtempo, creando un intreccio musicale complesso e allo stesso tempo apparentemente semplice, ma totalmente efficace.
Finisce con una picchiata a tutta velocità e uno schianto: CAUSA DELLA MORTE: BRAMA DI LUSSO E CONSUMISMO…
Un’altra eco di FEAR si affaccia, stavolta netta e, mi duole dirlo, la responsabilità maggiore è di God. In questi pochi secondi della sezione finale non fa nulla per distaccarsi come suoni e addirittura come note dalla parte di The New Kings che precedeva il suo esemplare assolo. È giusto santificarlo, ma è anche corretto crocefiggerlo quando se lo merita e se vogliamo mantenere una certa onestà intellettuale…
ZOT!!!!
Ehm, no, non preoccupatevi…era il fulmine di God che si abbatteva a pochi centimetri dalla tastiera che sto usando per scrivere…
Ma poi si riprende immediatamente il volo, non c’è indecisione né tentennamenti di sorta e l’urgenza del messaggio riprende sotto i colpi di batteria di Ian, che ci conduce al gran finale…NON RIMANE MOLTO TEMPO ALLA FINE DELLA CANZONE. Non credo di dover aggiungere altro o spiegare chissà quale sibillino significato sia nascosto nella frase.
Chiudo tornando al mio consiglio iniziale: beh, immaginandomi all’oscuro del brano, questa sarebbe stata la botta ideale per aprire l’album – come quasi sempre con i Marillion - e sarei rimasto a bocca spalancata come Sebastian de La Sirenetta…
Come promesso, non mi attarderò a descrivere minuziosamente i brani perché voglio che ve li godiate senza il mio giudizio. Ma qualcosa devo dirvi.
REPROGRAM THE GENE è semplicemente ciò che IO volevo da questa band in questo momento. Roba tosta, cazzuta, bella compatta e che mi faccia agitare le braccia dal vivo, come un giovine rocker quale non sono più da tempo. Base ritmica coesa come un cubo, band in gran forma e performance vocale da 10 e lode.
ONLY A KISS è il ponte strumentale che ci porta al singolo. È un piccolo gioiello di una bellezza sublime…
E giungiamo a MURDER MACHINES, onestamente uno dei singoli migliori dell’era Hogarth, all’altezza di quelli di Marbles di sicuro. Parte subito, una nota e via con la voce. E per fortuna che è una band poco immediata. Suoni moderni made in Kelly, ritmo contaminato da elettronica e arpeggi di chitarra puliti ed essenziali. Tre frasi di introduzione e, senza lasciare tregua, quattro frasi che già potrebbero essere un ritornello, ci accompagnano al ritornello vero e proprio, uno dei più azzeccati dalla band, davvero velenoso e insinuante.
Questo album è stato scritto durante un lunghissimo arco di tempo e mi piace pensare che questo concetto della mancanza di abbraccio, o meglio della trasmissione della morte CON un abbraccio sia stato in qualche modo “veicolato” nella mente di H nel marzo del 2019 dalla situazione italiana descrittagli dal sottoscritto. Non sarà certamente così, ma avevo un ricordo sfocato che mi rimbalzava in testa e allora sono andato a riprendere questa ‘missiva’, più da amico che da fan. Era il momento in cui noi italiani eravamo i soli AL MONDO (a parte i cinesi, ovviamente) a conoscere la gravità della pandemia e tutti gli altri giochicchiavano a fare i fenomeni, Boris Johnson in primis. Preoccupato dalle assurdità del Primo Ministro inglese, scrissi una email a Steve R. e un’altra a H quest’ultima intitolata “Coronavirus - don't believe politicians”, nella quale pregavo lui, i suoi cari e i suoi colleghi di non credere alle fandonie del biondiccio Premier e di ascoltare chi, purtroppo, dalla pandemia era stato già aggredito:
“…il virus ha cambiato la natura della mia gente. Adesso rimaniamo in fila come bravi soldati (un vero miracolo) ma non ci abbracciamo più e per persone come noi che hanno bisogno di mostrare il loro amore con baci, mani e abbracci è un dolore profondo… nel mio caso immagino mia madre da sola in ospedale… non ho potuto stare con lei negli ultimi giorni e non potrò per la settimana a venire perché c'è la possibilità che io possa portarle il virus…”. È una situazione che poi si è allargata a tutta la popolazione mondiale, ma i primi a sperimentarla fummo noi, purtroppo.
Si chiude così l’ideala Lato A di quello che fin qui è un ottimo album, ma che, un po’ come accadde per Afraid Of Sunlight, nel Lato B diventa un album SMISURATO, SBALORDITIVO, ESAGERATO.
Si parte con THE CROW AND THE NIGHTINGALE, un vero e proprio inno di ammirazione da parte di H nei confronti di quell’immenso artista che è stato Leonard Cohen. Quando all’inizio dell’anno ho ricevuto le liriche per cominciare il lavoro di traduzione, non mi era chiaro il disegno dietro alle parole di Steve e confesso la mia cecità, la mia oscurità mentale, il mio essere Corvo contro il suo essere Usignolo. Esattamente come si sente H nei confronti di uno dei suoi miti. È proprio questo l’amore che si cela dietro queste liriche, nell’ammissione della propria inferiorità, come ad elevare l’artista canadese al di sopra di ogni cosa, ammissione che però si svela dipanando immagini stupende disegnate dalla penna di H, tra le più belle da lui mai scritte.
Una collina nera come una strega in una tempesta, un mare in tempesta di paura che ghiaccia anche il sale…
Avvolgere il sole con la seta, renderlo qualcosa che possa essere guardato senza ferire
Posso provare

Non capivo tante cose, tra cui il fatto che il sole è il poeta, accecante nella sua bellezza e che lui, il timido fan, avrebbe provato ad avvolgerlo, a capirlo, a catturarlo con il tessuto più prezioso e anche più delicato, come atto d’amore e di condivisione, per consentire anche a noi tutti di poterlo guardare senza ferirsi. Il brano è pieno zeppo di queste meraviglie e la composizione musicale è tra le più complesse, articolate e meravigliosamente costruite che la nostra band preferita abbia mai sganciato sul pianeta terra. Ci sono certe minuscole dissonanze del Choir Noir, degli archi e del piano, che sono quasi da musica sperimentale del secolo scorso, per non parlare di Mr. Steven Rothery che segna uno dei soli più emozionanti della sua vita. Basta basta. Donne e uomini avvisati…

Segue ciò che ho imparato a definire un film, SIERRA LEONE, le cui liriche H mi mandò – penso in anteprima mondiale – chiedendomi di tenerle come un segreto preziosissimo e anticipandomi che il brano mi sarebbe piaciuto molto. Ancora una volta questi 5 (in realtà 6 perché in questo brano Mike Hunter tocca il vertice della sua capacità di produttore) riescono ad intessere una tela perfetta per raccontare musicalmente la storia descritta da H, del poveruomo che trova un enorme diamante che potrebbe cambiargli la vita. È etereo, zeppo di pieni e di vuoti, di esplosioni e implosioni e ti getta interamente nello stato africano, facendoti respirare la sabbia bianca citata nel testo. Sogni, desideri, allucinazioni e infine la consapevolezza di ciò che si vuole essere per sentirsi vivi e liberi. Un film, come solo loro sanno fare.

In chiusura arriva la bomba e, anche se mi scoccia un po’, devo essere d’accordo con Lucy che trova CARE la composizione musicale che più rappresenta la band nella sua storia, Il meraviglioso Choir Noir, il funky, si avete letto bene, IL FUNKY, una partenza SIDERALE di God, suoni di Kelly da rizzare i peli dentro lo stomaco e uno Steve Hogarth assurdo. Quindici minuti e venti secondi di assoluta BELLEZZA e di commozione pura del sottoscritto. Ascoltata tre volte e tre pianti da vitello bengalese che nemmeno nei momenti più tristi di Dumbo. Anche qui cerco di non spingermi oltre nel racconto per non fuorviare il vostro giudizio, ma vi giuro su chi amo e ho amato di più, che il finale è un qualcosa che non dimenticherete mai più nella vita. Ricordatevi che

Gli angeli di questo mondo non sono nei muri delle chiese
Gli angeli di questo mondo non sono in bronzo o pietra
Gli eroi di questo mondo lavorano mentre tutti noi dormiamo
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Re: An Hour Before It's Dark

davethespace


Come fai ad averlo sentito? Esce oggi alle ore 11 UK Time... :roll:
le vie del Signore sono Infinite! :mrgreen: :D
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Re: An Hour Before It's Dark

linconseieco ha scritto: 03/03/2022, 12:34 davethespace


Come fai ad averlo sentito? Esce oggi alle ore 11 UK Time... :roll:
le vie del Signore sono Infinite! :mrgreen: :D
Si ma almeno non dirlo qui dentro :lol: :lol: :lol:

ps: a chi è arrivata email, NON scaricate MP3 perché c'è modo di scaricare in fomato Flac/Wav MOOOOLTO meglio
davethespace
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Re: An Hour Before It's Dark

davethespace ha scritto: 03/03/2022, 11:13 Dato che mancano 45 minuti all'uscita UFFICIALE degli MP3 per chi ha preordinato, condivido qui ciò che ho scritto per gli abbonati di TWI ieri...

HAI UN’ORA PRIMA CHE SIA BUIO
Guida Galattica per autostoppisti marillici

È inutile negarcelo: ci sono mancati tantissimo.
Ed è ancora più inutile che IO neghi a me stesso l’importanza che questi cinque signori (sei, contando F… “coluichenondeveesserenominato” altrimenti parte la solita noiosissima, inutile diatriba) hanno avuto e hanno nella mia vita. Ci sono sempre stati e magicamente appaiono soprattutto nei momenti per me più difficili, come quello attuale che mi sta rendendo difficilissimo stare davanti al PC e scrivere anche queste poche righe. Ed è anche inutile negare che siano tra le band più sfigate della Galassia: spesso nelle occasioni importanti accade loro qualcosa di incalcolabile, come in questo ultimo caso, ritardo di pubblicazione del disco per scarsità di materia prima e quando il disco sta per uscire, BAM!, invasione russa in Ucraina. Passiamo oltre.
Parto subito con una dichiarazione netta: sappiate che per me AN HOUR BEFORE IT’S DARK è semplicemente il loro album più commovente. E anche, perché no, il più maturo.
Questa vuole essere più una “guida” all’ascolto (per chi vuole seguirla) che una vera e propria recensione, che lascio fare più in basso a gente più qualificata e capace di me.
Il mio primo – e forse unico – consiglio è, innanzitutto, di provare a fingere – si è difficile, lo so – di non avere MAI ascoltato BE HARD ON YOURSELF. Non cito MURDER MACHINES in quanto SINGOLO vero e proprio e quindi il suo ascolto è ‘fisiologico’ nella logica dell’uscita di un nuovo album.
Provate a giudicare il disco nella sua INTEREZZA, come un’entità unica.
Chi è riuscito a resistere in questi mesi all’ascolto di almeno Be Hard ha vinto al lotto, ha fatto il botto e da questo album si prenderà un bel cazzotto! Che poeta, ragazzi…
Provate a fare un viaggio nel tempo, a tanti anni fa, quando l’unica anteprima era, appunto, il piccolo singolo, che ci faceva sognare, immaginare, illudere e anche un po’ incazzare. Prendetevi un’ora del vostro tempo, scegliete il luogo, l’impianto, la cuffia migliore che avete e sedetevi. Questo è un album che merita la migliore esposizione sonora possibile, zeppo com’è di strati, livelli e texture musicali.
Chiudete gli occhi e ascoltate l’inizio sontuoso di quest’opera come se non l’aveste MAI ascoltato prima. Godetevi l’abilità e la mente sapiente di Mark Kelly che adagia le sue mani su quelle tastiere e che lungo tutto l’album risplenderà come un diamante purissimo, come e più che in FEAR. Sua è l’intro e sua è l’idea del “coro gregoriano” campionato, come confessatomi da Mike Hunter quando gli chiesi se fossero i Choir Noir (andate qui per scoprirne di più - https://www.choirnoir.com/ ) della cui presenza fui avvertito da H mesi prima.
So che in molti hanno sentito echi di FEAR su Be Hard, ma io personalmente non ho sofferto questo parallelismo e ho solo avvertito una band con una grande energia e una volontà ferrea di uscire, grazie alla musica, dal buio che ci avvolge ormai da due anni.
BE HARD ON YOURSELF e MURDER MACHINE sono gli unici brani su cui mi soffermerò un po’ di più in quanto immagino che (quasi) tutti voi le abbiate ascoltate, le conoscete e quindi avrete già maturato una vostra opinione che non potrò condizionare in alcun modo.
Dopo l’intro evangelico, che mi fa immaginare di essere da solo dentro un’immensa cattedrale, la partenza decisa su quei tasti di pianoforte, oserei dire quasi alla Roy Bittan della E-Street Band springsteeniana, accoppiata alla più frizzante sezione ritmica marillica degli ultimi anni (grazie al ritorno tra noi di Ian perché Pete è da sempre superlativo) mi fa sobbalzare dalla poltrona. La voce di H è più calda che mai e vi anticipo che la sua performance su tutto l’album tocca vette di assoluta meraviglia ed è il top della sua carriera. L’apertura verso il “ritornello” è solare, il testo è ficcante, preciso, quasi chirurgico nella sua efficacia e nell’urgenza del messaggio: NON ABBIAMO PIÙ TEMPO. Questo pianeta va salvato ora.
La musica non smorza il ritmo e continuo a non sentire nulla di FEAR, ma nemmeno di altre cose. Entra anche God in questa progressione che conclude questa prima sezione con un solo di chitarra apparentemente semplice ma adeguatissimo alla composizione. Un delicato intermezzo di piano mi riporta solo per un attimo all’ultimo disco ma poi la voce di H, ora più minacciosa e sottolineata dal drumming sapiente e incantevolmente al servizio della musica, ci dice che “La scimmia vuole un nuovo gioco”. La scimmia, è chiaro, siamo noi. Così come siamo sempre NOI le “impazienti sacche di sangue” che il mondo ha visto, ragazze e ragazzi.
Il ritmo è sempre più incalzante e la progressione – una delle cose che questa band ha sempre fatto mirabilmente – è IRRESISTIBILE., soprattutto quando IL cantante e IL chitarrista uniscono le forze e si scontrano come il ghiaccio e il fuoco. Intanto Mark picchia sui tasti del piano, mentre basso e batteria vanno in controtempo, creando un intreccio musicale complesso e allo stesso tempo apparentemente semplice, ma totalmente efficace.
Finisce con una picchiata a tutta velocità e uno schianto: CAUSA DELLA MORTE: BRAMA DI LUSSO E CONSUMISMO…
Un’altra eco di FEAR si affaccia, stavolta netta e, mi duole dirlo, la responsabilità maggiore è di God. In questi pochi secondi della sezione finale non fa nulla per distaccarsi come suoni e addirittura come note dalla parte di The New Kings che precedeva il suo esemplare assolo. È giusto santificarlo, ma è anche corretto crocefiggerlo quando se lo merita e se vogliamo mantenere una certa onestà intellettuale…
ZOT!!!!
Ehm, no, non preoccupatevi…era il fulmine di God che si abbatteva a pochi centimetri dalla tastiera che sto usando per scrivere…
Ma poi si riprende immediatamente il volo, non c’è indecisione né tentennamenti di sorta e l’urgenza del messaggio riprende sotto i colpi di batteria di Ian, che ci conduce al gran finale…NON RIMANE MOLTO TEMPO ALLA FINE DELLA CANZONE. Non credo di dover aggiungere altro o spiegare chissà quale sibillino significato sia nascosto nella frase.
Chiudo tornando al mio consiglio iniziale: beh, immaginandomi all’oscuro del brano, questa sarebbe stata la botta ideale per aprire l’album – come quasi sempre con i Marillion - e sarei rimasto a bocca spalancata come Sebastian de La Sirenetta…
Come promesso, non mi attarderò a descrivere minuziosamente i brani perché voglio che ve li godiate senza il mio giudizio. Ma qualcosa devo dirvi.
REPROGRAM THE GENE è semplicemente ciò che IO volevo da questa band in questo momento. Roba tosta, cazzuta, bella compatta e che mi faccia agitare le braccia dal vivo, come un giovine rocker quale non sono più da tempo. Base ritmica coesa come un cubo, band in gran forma e performance vocale da 10 e lode.
ONLY A KISS è il ponte strumentale che ci porta al singolo. È un piccolo gioiello di una bellezza sublime…
E giungiamo a MURDER MACHINES, onestamente uno dei singoli migliori dell’era Hogarth, all’altezza di quelli di Marbles di sicuro. Parte subito, una nota e via con la voce. E per fortuna che è una band poco immediata. Suoni moderni made in Kelly, ritmo contaminato da elettronica e arpeggi di chitarra puliti ed essenziali. Tre frasi di introduzione e, senza lasciare tregua, quattro frasi che già potrebbero essere un ritornello, ci accompagnano al ritornello vero e proprio, uno dei più azzeccati dalla band, davvero velenoso e insinuante.
Questo album è stato scritto durante un lunghissimo arco di tempo e mi piace pensare che questo concetto della mancanza di abbraccio, o meglio della trasmissione della morte CON un abbraccio sia stato in qualche modo “veicolato” nella mente di H nel marzo del 2019 dalla situazione italiana descrittagli dal sottoscritto. Non sarà certamente così, ma avevo un ricordo sfocato che mi rimbalzava in testa e allora sono andato a riprendere questa ‘missiva’, più da amico che da fan. Era il momento in cui noi italiani eravamo i soli AL MONDO (a parte i cinesi, ovviamente) a conoscere la gravità della pandemia e tutti gli altri giochicchiavano a fare i fenomeni, Boris Johnson in primis. Preoccupato dalle assurdità del Primo Ministro inglese, scrissi una email a Steve R. e un’altra a H quest’ultima intitolata “Coronavirus - don't believe politicians”, nella quale pregavo lui, i suoi cari e i suoi colleghi di non credere alle fandonie del biondiccio Premier e di ascoltare chi, purtroppo, dalla pandemia era stato già aggredito:
“…il virus ha cambiato la natura della mia gente. Adesso rimaniamo in fila come bravi soldati (un vero miracolo) ma non ci abbracciamo più e per persone come noi che hanno bisogno di mostrare il loro amore con baci, mani e abbracci è un dolore profondo… nel mio caso immagino mia madre da sola in ospedale… non ho potuto stare con lei negli ultimi giorni e non potrò per la settimana a venire perché c'è la possibilità che io possa portarle il virus…”. È una situazione che poi si è allargata a tutta la popolazione mondiale, ma i primi a sperimentarla fummo noi, purtroppo.
Si chiude così l’ideala Lato A di quello che fin qui è un ottimo album, ma che, un po’ come accadde per Afraid Of Sunlight, nel Lato B diventa un album SMISURATO, SBALORDITIVO, ESAGERATO.
Si parte con THE CROW AND THE NIGHTINGALE, un vero e proprio inno di ammirazione da parte di H nei confronti di quell’immenso artista che è stato Leonard Cohen. Quando all’inizio dell’anno ho ricevuto le liriche per cominciare il lavoro di traduzione, non mi era chiaro il disegno dietro alle parole di Steve e confesso la mia cecità, la mia oscurità mentale, il mio essere Corvo contro il suo essere Usignolo. Esattamente come si sente H nei confronti di uno dei suoi miti. È proprio questo l’amore che si cela dietro queste liriche, nell’ammissione della propria inferiorità, come ad elevare l’artista canadese al di sopra di ogni cosa, ammissione che però si svela dipanando immagini stupende disegnate dalla penna di H, tra le più belle da lui mai scritte.
Una collina nera come una strega in una tempesta, un mare in tempesta di paura che ghiaccia anche il sale…
Avvolgere il sole con la seta, renderlo qualcosa che possa essere guardato senza ferire
Posso provare

Non capivo tante cose, tra cui il fatto che il sole è il poeta, accecante nella sua bellezza e che lui, il timido fan, avrebbe provato ad avvolgerlo, a capirlo, a catturarlo con il tessuto più prezioso e anche più delicato, come atto d’amore e di condivisione, per consentire anche a noi tutti di poterlo guardare senza ferirsi. Il brano è pieno zeppo di queste meraviglie e la composizione musicale è tra le più complesse, articolate e meravigliosamente costruite che la nostra band preferita abbia mai sganciato sul pianeta terra. Ci sono certe minuscole dissonanze del Choir Noir, degli archi e del piano, che sono quasi da musica sperimentale del secolo scorso, per non parlare di Mr. Steven Rothery che segna uno dei soli più emozionanti della sua vita. Basta basta. Donne e uomini avvisati…

Segue ciò che ho imparato a definire un film, SIERRA LEONE, le cui liriche H mi mandò – penso in anteprima mondiale – chiedendomi di tenerle come un segreto preziosissimo e anticipandomi che il brano mi sarebbe piaciuto molto. Ancora una volta questi 5 (in realtà 6 perché in questo brano Mike Hunter tocca il vertice della sua capacità di produttore) riescono ad intessere una tela perfetta per raccontare musicalmente la storia descritta da H, del poveruomo che trova un enorme diamante che potrebbe cambiargli la vita. È etereo, zeppo di pieni e di vuoti, di esplosioni e implosioni e ti getta interamente nello stato africano, facendoti respirare la sabbia bianca citata nel testo. Sogni, desideri, allucinazioni e infine la consapevolezza di ciò che si vuole essere per sentirsi vivi e liberi. Un film, come solo loro sanno fare.

In chiusura arriva la bomba e, anche se mi scoccia un po’, devo essere d’accordo con Lucy che trova CARE la composizione musicale che più rappresenta la band nella sua storia, Il meraviglioso Choir Noir, il funky, si avete letto bene, IL FUNKY, una partenza SIDERALE di God, suoni di Kelly da rizzare i peli dentro lo stomaco e uno Steve Hogarth assurdo. Quindici minuti e venti secondi di assoluta BELLEZZA e di commozione pura del sottoscritto. Ascoltata tre volte e tre pianti da vitello bengalese che nemmeno nei momenti più tristi di Dumbo. Anche qui cerco di non spingermi oltre nel racconto per non fuorviare il vostro giudizio, ma vi giuro su chi amo e ho amato di più, che il finale è un qualcosa che non dimenticherete mai più nella vita. Ricordatevi che

Gli angeli di questo mondo non sono nei muri delle chiese
Gli angeli di questo mondo non sono in bronzo o pietra
Gli eroi di questo mondo lavorano mentre tutti noi dormiamo
Ciao Dave, dico soltanto questo.
Non è infatti una recensione...é un emozione. Grazie.
davethespace
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Re: An Hour Before It's Dark

Hollowman ha scritto: 03/03/2022, 13:32
davethespace ha scritto: 03/03/2022, 11:13 Dato che mancano 45 minuti all'uscita UFFICIALE degli MP3 per chi ha preordinato, condivido qui ciò che ho scritto per gli abbonati di TWI ieri...

HAI UN’ORA PRIMA CHE SIA BUIO
Guida Galattica per autostoppisti marillici

È inutile negarcelo: ci sono mancati tantissimo.
Ed è ancora più inutile che IO neghi a me stesso l’importanza che questi cinque signori (sei, contando F… “coluichenondeveesserenominato” altrimenti parte la solita noiosissima, inutile diatriba) hanno avuto e hanno nella mia vita. Ci sono sempre stati e magicamente appaiono soprattutto nei momenti per me più difficili, come quello attuale che mi sta rendendo difficilissimo stare davanti al PC e scrivere anche queste poche righe. Ed è anche inutile negare che siano tra le band più sfigate della Galassia: spesso nelle occasioni importanti accade loro qualcosa di incalcolabile, come in questo ultimo caso, ritardo di pubblicazione del disco per scarsità di materia prima e quando il disco sta per uscire, BAM!, invasione russa in Ucraina. Passiamo oltre.
Parto subito con una dichiarazione netta: sappiate che per me AN HOUR BEFORE IT’S DARK è semplicemente il loro album più commovente. E anche, perché no, il più maturo.
Questa vuole essere più una “guida” all’ascolto (per chi vuole seguirla) che una vera e propria recensione, che lascio fare più in basso a gente più qualificata e capace di me.
Il mio primo – e forse unico – consiglio è, innanzitutto, di provare a fingere – si è difficile, lo so – di non avere MAI ascoltato BE HARD ON YOURSELF. Non cito MURDER MACHINES in quanto SINGOLO vero e proprio e quindi il suo ascolto è ‘fisiologico’ nella logica dell’uscita di un nuovo album.
Provate a giudicare il disco nella sua INTEREZZA, come un’entità unica.
Chi è riuscito a resistere in questi mesi all’ascolto di almeno Be Hard ha vinto al lotto, ha fatto il botto e da questo album si prenderà un bel cazzotto! Che poeta, ragazzi…
Provate a fare un viaggio nel tempo, a tanti anni fa, quando l’unica anteprima era, appunto, il piccolo singolo, che ci faceva sognare, immaginare, illudere e anche un po’ incazzare. Prendetevi un’ora del vostro tempo, scegliete il luogo, l’impianto, la cuffia migliore che avete e sedetevi. Questo è un album che merita la migliore esposizione sonora possibile, zeppo com’è di strati, livelli e texture musicali.
Chiudete gli occhi e ascoltate l’inizio sontuoso di quest’opera come se non l’aveste MAI ascoltato prima. Godetevi l’abilità e la mente sapiente di Mark Kelly che adagia le sue mani su quelle tastiere e che lungo tutto l’album risplenderà come un diamante purissimo, come e più che in FEAR. Sua è l’intro e sua è l’idea del “coro gregoriano” campionato, come confessatomi da Mike Hunter quando gli chiesi se fossero i Choir Noir (andate qui per scoprirne di più - https://www.choirnoir.com/ ) della cui presenza fui avvertito da H mesi prima.
So che in molti hanno sentito echi di FEAR su Be Hard, ma io personalmente non ho sofferto questo parallelismo e ho solo avvertito una band con una grande energia e una volontà ferrea di uscire, grazie alla musica, dal buio che ci avvolge ormai da due anni.
BE HARD ON YOURSELF e MURDER MACHINE sono gli unici brani su cui mi soffermerò un po’ di più in quanto immagino che (quasi) tutti voi le abbiate ascoltate, le conoscete e quindi avrete già maturato una vostra opinione che non potrò condizionare in alcun modo.
Dopo l’intro evangelico, che mi fa immaginare di essere da solo dentro un’immensa cattedrale, la partenza decisa su quei tasti di pianoforte, oserei dire quasi alla Roy Bittan della E-Street Band springsteeniana, accoppiata alla più frizzante sezione ritmica marillica degli ultimi anni (grazie al ritorno tra noi di Ian perché Pete è da sempre superlativo) mi fa sobbalzare dalla poltrona. La voce di H è più calda che mai e vi anticipo che la sua performance su tutto l’album tocca vette di assoluta meraviglia ed è il top della sua carriera. L’apertura verso il “ritornello” è solare, il testo è ficcante, preciso, quasi chirurgico nella sua efficacia e nell’urgenza del messaggio: NON ABBIAMO PIÙ TEMPO. Questo pianeta va salvato ora.
La musica non smorza il ritmo e continuo a non sentire nulla di FEAR, ma nemmeno di altre cose. Entra anche God in questa progressione che conclude questa prima sezione con un solo di chitarra apparentemente semplice ma adeguatissimo alla composizione. Un delicato intermezzo di piano mi riporta solo per un attimo all’ultimo disco ma poi la voce di H, ora più minacciosa e sottolineata dal drumming sapiente e incantevolmente al servizio della musica, ci dice che “La scimmia vuole un nuovo gioco”. La scimmia, è chiaro, siamo noi. Così come siamo sempre NOI le “impazienti sacche di sangue” che il mondo ha visto, ragazze e ragazzi.
Il ritmo è sempre più incalzante e la progressione – una delle cose che questa band ha sempre fatto mirabilmente – è IRRESISTIBILE., soprattutto quando IL cantante e IL chitarrista uniscono le forze e si scontrano come il ghiaccio e il fuoco. Intanto Mark picchia sui tasti del piano, mentre basso e batteria vanno in controtempo, creando un intreccio musicale complesso e allo stesso tempo apparentemente semplice, ma totalmente efficace.
Finisce con una picchiata a tutta velocità e uno schianto: CAUSA DELLA MORTE: BRAMA DI LUSSO E CONSUMISMO…
Un’altra eco di FEAR si affaccia, stavolta netta e, mi duole dirlo, la responsabilità maggiore è di God. In questi pochi secondi della sezione finale non fa nulla per distaccarsi come suoni e addirittura come note dalla parte di The New Kings che precedeva il suo esemplare assolo. È giusto santificarlo, ma è anche corretto crocefiggerlo quando se lo merita e se vogliamo mantenere una certa onestà intellettuale…
ZOT!!!!
Ehm, no, non preoccupatevi…era il fulmine di God che si abbatteva a pochi centimetri dalla tastiera che sto usando per scrivere…
Ma poi si riprende immediatamente il volo, non c’è indecisione né tentennamenti di sorta e l’urgenza del messaggio riprende sotto i colpi di batteria di Ian, che ci conduce al gran finale…NON RIMANE MOLTO TEMPO ALLA FINE DELLA CANZONE. Non credo di dover aggiungere altro o spiegare chissà quale sibillino significato sia nascosto nella frase.
Chiudo tornando al mio consiglio iniziale: beh, immaginandomi all’oscuro del brano, questa sarebbe stata la botta ideale per aprire l’album – come quasi sempre con i Marillion - e sarei rimasto a bocca spalancata come Sebastian de La Sirenetta…
Come promesso, non mi attarderò a descrivere minuziosamente i brani perché voglio che ve li godiate senza il mio giudizio. Ma qualcosa devo dirvi.
REPROGRAM THE GENE è semplicemente ciò che IO volevo da questa band in questo momento. Roba tosta, cazzuta, bella compatta e che mi faccia agitare le braccia dal vivo, come un giovine rocker quale non sono più da tempo. Base ritmica coesa come un cubo, band in gran forma e performance vocale da 10 e lode.
ONLY A KISS è il ponte strumentale che ci porta al singolo. È un piccolo gioiello di una bellezza sublime…
E giungiamo a MURDER MACHINES, onestamente uno dei singoli migliori dell’era Hogarth, all’altezza di quelli di Marbles di sicuro. Parte subito, una nota e via con la voce. E per fortuna che è una band poco immediata. Suoni moderni made in Kelly, ritmo contaminato da elettronica e arpeggi di chitarra puliti ed essenziali. Tre frasi di introduzione e, senza lasciare tregua, quattro frasi che già potrebbero essere un ritornello, ci accompagnano al ritornello vero e proprio, uno dei più azzeccati dalla band, davvero velenoso e insinuante.
Questo album è stato scritto durante un lunghissimo arco di tempo e mi piace pensare che questo concetto della mancanza di abbraccio, o meglio della trasmissione della morte CON un abbraccio sia stato in qualche modo “veicolato” nella mente di H nel marzo del 2019 dalla situazione italiana descrittagli dal sottoscritto. Non sarà certamente così, ma avevo un ricordo sfocato che mi rimbalzava in testa e allora sono andato a riprendere questa ‘missiva’, più da amico che da fan. Era il momento in cui noi italiani eravamo i soli AL MONDO (a parte i cinesi, ovviamente) a conoscere la gravità della pandemia e tutti gli altri giochicchiavano a fare i fenomeni, Boris Johnson in primis. Preoccupato dalle assurdità del Primo Ministro inglese, scrissi una email a Steve R. e un’altra a H quest’ultima intitolata “Coronavirus - don't believe politicians”, nella quale pregavo lui, i suoi cari e i suoi colleghi di non credere alle fandonie del biondiccio Premier e di ascoltare chi, purtroppo, dalla pandemia era stato già aggredito:
“…il virus ha cambiato la natura della mia gente. Adesso rimaniamo in fila come bravi soldati (un vero miracolo) ma non ci abbracciamo più e per persone come noi che hanno bisogno di mostrare il loro amore con baci, mani e abbracci è un dolore profondo… nel mio caso immagino mia madre da sola in ospedale… non ho potuto stare con lei negli ultimi giorni e non potrò per la settimana a venire perché c'è la possibilità che io possa portarle il virus…”. È una situazione che poi si è allargata a tutta la popolazione mondiale, ma i primi a sperimentarla fummo noi, purtroppo.
Si chiude così l’ideala Lato A di quello che fin qui è un ottimo album, ma che, un po’ come accadde per Afraid Of Sunlight, nel Lato B diventa un album SMISURATO, SBALORDITIVO, ESAGERATO.
Si parte con THE CROW AND THE NIGHTINGALE, un vero e proprio inno di ammirazione da parte di H nei confronti di quell’immenso artista che è stato Leonard Cohen. Quando all’inizio dell’anno ho ricevuto le liriche per cominciare il lavoro di traduzione, non mi era chiaro il disegno dietro alle parole di Steve e confesso la mia cecità, la mia oscurità mentale, il mio essere Corvo contro il suo essere Usignolo. Esattamente come si sente H nei confronti di uno dei suoi miti. È proprio questo l’amore che si cela dietro queste liriche, nell’ammissione della propria inferiorità, come ad elevare l’artista canadese al di sopra di ogni cosa, ammissione che però si svela dipanando immagini stupende disegnate dalla penna di H, tra le più belle da lui mai scritte.
Una collina nera come una strega in una tempesta, un mare in tempesta di paura che ghiaccia anche il sale…
Avvolgere il sole con la seta, renderlo qualcosa che possa essere guardato senza ferire
Posso provare

Non capivo tante cose, tra cui il fatto che il sole è il poeta, accecante nella sua bellezza e che lui, il timido fan, avrebbe provato ad avvolgerlo, a capirlo, a catturarlo con il tessuto più prezioso e anche più delicato, come atto d’amore e di condivisione, per consentire anche a noi tutti di poterlo guardare senza ferirsi. Il brano è pieno zeppo di queste meraviglie e la composizione musicale è tra le più complesse, articolate e meravigliosamente costruite che la nostra band preferita abbia mai sganciato sul pianeta terra. Ci sono certe minuscole dissonanze del Choir Noir, degli archi e del piano, che sono quasi da musica sperimentale del secolo scorso, per non parlare di Mr. Steven Rothery che segna uno dei soli più emozionanti della sua vita. Basta basta. Donne e uomini avvisati…

Segue ciò che ho imparato a definire un film, SIERRA LEONE, le cui liriche H mi mandò – penso in anteprima mondiale – chiedendomi di tenerle come un segreto preziosissimo e anticipandomi che il brano mi sarebbe piaciuto molto. Ancora una volta questi 5 (in realtà 6 perché in questo brano Mike Hunter tocca il vertice della sua capacità di produttore) riescono ad intessere una tela perfetta per raccontare musicalmente la storia descritta da H, del poveruomo che trova un enorme diamante che potrebbe cambiargli la vita. È etereo, zeppo di pieni e di vuoti, di esplosioni e implosioni e ti getta interamente nello stato africano, facendoti respirare la sabbia bianca citata nel testo. Sogni, desideri, allucinazioni e infine la consapevolezza di ciò che si vuole essere per sentirsi vivi e liberi. Un film, come solo loro sanno fare.

In chiusura arriva la bomba e, anche se mi scoccia un po’, devo essere d’accordo con Lucy che trova CARE la composizione musicale che più rappresenta la band nella sua storia, Il meraviglioso Choir Noir, il funky, si avete letto bene, IL FUNKY, una partenza SIDERALE di God, suoni di Kelly da rizzare i peli dentro lo stomaco e uno Steve Hogarth assurdo. Quindici minuti e venti secondi di assoluta BELLEZZA e di commozione pura del sottoscritto. Ascoltata tre volte e tre pianti da vitello bengalese che nemmeno nei momenti più tristi di Dumbo. Anche qui cerco di non spingermi oltre nel racconto per non fuorviare il vostro giudizio, ma vi giuro su chi amo e ho amato di più, che il finale è un qualcosa che non dimenticherete mai più nella vita. Ricordatevi che

Gli angeli di questo mondo non sono nei muri delle chiese
Gli angeli di questo mondo non sono in bronzo o pietra
Gli eroi di questo mondo lavorano mentre tutti noi dormiamo
Ciao Dave, dico soltanto questo.
Non è infatti una recensione...é un emozione. Grazie.

Eeeehh addirittura... GRAZIE! :oops:
davethespace
linconseieco
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Re: An Hour Before It's Dark

Care è secondo me una gemma!..è il brano perfetto! dai tempi di Goodbye To All That-- nell' era Hogarth... poi cito anche The Crow and the Nightingale..un gradino sotto ,solo per la durata..il cantato iniziale mi ricorda l'ultimo Mark Hollis dei Talk Talk..! queste attualmente sono le mie preferite dell'album! :D
davethespace
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Re: An Hour Before It's Dark

Beh Crow e Care ragazzi sono robe da stare male
davethespace
Hollowman
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Re: An Hour Before It's Dark

Ciao Dave ho visto i testi dei brani. Effettivamente sono molto legati tra loro e funzionano quasi meglio globalmente che nei singoli pezzi ( ahhh su Frankenstein siamo ai livelli " della divoratrice dei surfisti") .
Solo una cosa nella traduzione mi sfugge ; le frasi finali di the Crow..
Prima della frase finale " una melodia" dice "a racket". Forse penso che "a racket" non sia inteso come racchetta ma come baccano-frastuono- chiasso che appunto è praticamente un opposto di melodia ( confronto tra corvo- ed usignolo).
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